25 LUGLIO 2008, VENERDI', DUBLINO, NEW YORK
Volo AerLingus con destinazione New York City, è la giornata più lunga della mia vita. Piove, e tra auto, treni, autobus ed aerei sto viaggiando da oltre dieci ore, e all'arrivo ne mancano ancora altrettante. L'aereo è enorme, altro che i voli Ryanair fatti finora: doppio corridoio e sei sedili per fila, con tanto di cuscini che potrebbero far comodo in previsione degli autobus Greyhound... Devo compilare il modulo per l'accesso negli USA, e già mi vengono i brividi per i rientri che dovrò fare da Toronto e Tijuana... speriamo vada tutto liscio! La cena in volo è gratis ma tremenda, una porzione di pasta che sa di zenzero e altre cose non meglio identificate: meglio abituarsi subito, dato che per due mesi cibo decente probabilmente me lo sognerò la notte!
Non
riesco a dormire, macino decine di pagine di "L.A. Confidential", il
romanzo che mi sono portato con me per questo viaggio, e pensieri che
riaffiorano dal passato, come il ricordo di undici anni fa esatti, un 25
luglio per me importante come questo. Siamo nel mezzo dell'Atlantico,
corriamo dietro al Sole e, come lui, non ho voglia di tramontare.
Più tardi.
Appena atterrati, sono negli Stati Uniti d'America! Faccia sorridente
alla dogana, sfoggio un inglese approssimativo superato solo
dall'inglese ancor più improbabile del poliziotto di origini
mediorientali che mi interroga, e che mi chiede addirittura come diavolo
farò a vivere qui per due mesi con solo mille dollari. Ma la mitica
Postepay mi tira fuori da possibili guai... L'emozione è tanta, sono
negli USA. Sono negli Stati Uniti. A New York. NEW YORK.
Faccio
subito una chiamata a casa per tranquillizzare gli animi e per provare
per la prima volta la strana sensazione di un fuso orario di sei ore, e
quindi pronti a raggiungere Manhattan: lungo il tragitto mi godo un
primo panorama del Queens dall'Air Train, il benessere che mi riempie
ogni volta che entro in una metropolitana, i volti della gente che
scruto furtivo, in cerca di denominatori comuni che ne garantiscano una
sorta di americanità. E scovo anche un mio fac simile viaggiatore, con
tanto di moleskine in mano e occhio fisso sulla mappa della metro.
E
poi Harlem. Di notte. Un primo impatto impressionante, di quelli che ti
stendono. Gioia, paura, il cuore che batte a mille. I colori, la gente,
il rumore, la puzza. La sensazione di essere dentro ad un film, quando
invece sono nella New York più vera. Trovo casa di Will senza problemi,
grazie alle sue indicazioni: vive in un minuscolo monolocale, con scala
antincendio sulla facciata anteriore e il condizionatore spinto al
massimo; Will è un ragazzo sui trentacinque socievole e professionale,
un esperto couchsurfer ed estremamente ospitale che mi lascia mappe,
guide della città, le chiavi di casa e addirittura un cellulare per
chiamarlo in caso di emergenza. Prime parole di routine, cosa faccio
nella vita, come è andato il viaggio, dove vivo in Italia, che programmi
ho per domani. E infine a letto, alle ventitrè di venerdì sera che per
me sono le cinque del mattino, con ventitrè ore di viaggio alle spalle:
collasso istantaneo assicurato.