25 LUGLIO 2008, VENERDI', DUBLINO, NEW YORK

Volo AerLingus con destinazione New York City, è la giornata più lunga della mia vita. Piove, e tra auto, treni, autobus ed aerei sto viaggiando da oltre dieci ore, e all'arrivo ne mancano ancora altrettante. L'aereo è enorme, altro che i voli Ryanair fatti finora: doppio corridoio e sei sedili per fila, con tanto di cuscini che potrebbero far comodo in previsione degli autobus Greyhound... Devo compilare il modulo per l'accesso negli USA, e già mi vengono i brividi per i rientri che dovrò fare da Toronto e Tijuana... speriamo vada tutto liscio! La cena in volo è gratis ma tremenda, una porzione di pasta che sa di zenzero e altre cose non meglio identificate: meglio abituarsi subito, dato che per due mesi cibo decente probabilmente me lo sognerò la notte!

Non riesco a dormire, macino decine di pagine di "L.A. Confidential", il romanzo che mi sono portato con me per questo viaggio, e pensieri che riaffiorano dal passato, come il ricordo di undici anni fa esatti, un 25 luglio per me importante come questo. Siamo nel mezzo dell'Atlantico, corriamo dietro al Sole e, come lui, non ho voglia di tramontare.


Più tardi. Appena atterrati, sono negli Stati Uniti d'America! Faccia sorridente alla dogana, sfoggio un inglese approssimativo superato solo dall'inglese ancor più improbabile del poliziotto di origini mediorientali che mi interroga, e che mi chiede addirittura come diavolo farò a vivere qui per due mesi con solo mille dollari. Ma la mitica Postepay mi tira fuori da possibili guai... L'emozione è tanta, sono negli USA. Sono negli Stati Uniti. A New York. NEW YORK.

Faccio subito una chiamata a casa per tranquillizzare gli animi e per provare per la prima volta la strana sensazione di un fuso orario di sei ore, e quindi pronti a raggiungere Manhattan: lungo il tragitto mi godo un primo panorama del Queens dall'Air Train, il benessere che mi riempie ogni volta che entro in una metropolitana, i volti della gente che scruto furtivo, in cerca di denominatori comuni che ne garantiscano una sorta di americanità. E scovo anche un mio fac simile viaggiatore, con tanto di moleskine in mano e occhio fisso sulla mappa della metro.

E poi Harlem. Di notte. Un primo impatto impressionante, di quelli che ti stendono. Gioia, paura, il cuore che batte a mille. I colori, la gente, il rumore, la puzza. La sensazione di essere dentro ad un film, quando invece sono nella New York più vera. Trovo casa di Will senza problemi, grazie alle sue indicazioni: vive in un minuscolo monolocale, con scala antincendio sulla facciata anteriore e il condizionatore spinto al massimo; Will è un ragazzo sui trentacinque socievole e professionale, un esperto couchsurfer ed estremamente ospitale che mi lascia mappe, guide della città, le chiavi di casa e addirittura un cellulare per chiamarlo in caso di emergenza. Prime parole di routine, cosa faccio nella vita, come è andato il viaggio, dove vivo in Italia, che programmi ho per domani. E infine a letto, alle ventitrè di venerdì sera che per me sono le cinque del mattino, con ventitrè ore di viaggio alle spalle: collasso istantaneo assicurato.
26 LUGLIO 2008, SABATO, NEW YORK

Primo risveglio americano alle otto del mattino, ecco un "breve" elenco di quello che ho visto oggi: Central Park attraversato in lungo e in largo, il Metropolitan Museum of Art, il Rockafeller Center e il Radio City, la Cattedrale di St. Patrick, un po' di Broadway e di 5th Avenue, il Palazzo di Vetro dell'ONU, Grand Central, l'Empire State Building (dal basso), l'East Village e le case di Charlie Parker e Madonna e il palazzo sulla copertina di "Physical Graffiti" dei Led Zeppelin, il vecchio CBGB'S (che emozione!), Little Italy e Chinatown, il vivacissimo Lower East Side, Washington Square Park e il Greenwich, il Paradise Garage (senza saperlo, l'ho scoperto dopo!), Wall Street, Liberty Island da lontano, Ground Zero coi lavori in corso, i ponti di Brooklyn e Manhattan, attraversati entrambi, il che implica anche una capatina a Brooklyn. E per oggi basta, sono a casa di Will, a pezzi dalla vita in giù, che con tutti i chilometri macinati a piedi, da buon masochista, sono stremato. 

Mattinata con Will, tante chiacchiere e un paio di hot dog nell'East Village. Lui è un simpatico e sveglio venditore di formaggi provenienti da tutto il mondo, specialmente dall'Italia, paese che adora come il suo lavoro, di cui parla con la luce negli occhi. Il pomeriggio invece l'ho trascorso da solo, scattando mille foto e girando con uno sguardo meravigliato sempre verso l'alto - grattacieli dappertutto - la bocca aperta come un turista di campagna! Eh sì, ci devo lavorare...

La sensazione, anzi la certezza, di star facendo una grande esperienza che mi segnerà a vita. La gente sembra un solo corpo, un blob che invade la strada. Un pizzico di delusione per la luce, che mi immaginavo diversa rispetto all'Europa, chissà perché poi! Comunque la pizza è buona. Ho visto più film oggi che in tutta la mia vita.
27 LUGLIO 2008, DOMENICA, NEW YORK

New York è una città molto cara. E se si aggiunge il fatto che i dischi costano meno del pane e per me sono come una droga, la frittata è fatta. E le sigarette. E il cibo, che è irrimediabilmente pizza o hot dog, con il voto di vegetarianismo che per un paio di mesi è meglio metterlo da parte. Problema numero uno, insomma, trovare la maniera di spendere meno e mangiare meglio.
Ora sono alla McCarren Pool di Brooklyn per il concerto degli MGMT, dei Ting Tings e dei Black Mother Super Rainbow. Ho appena incontrato tre ragazze di Torino che però hanno rinunciato al festival, dato che per strada c'è un mare di gente e ancora non si capisce dove, come, quando e se si riuscirà ad entrare. Il concerto è in una ex piscina, speriamo non serva il costume! Williamsburg e Brooklyn m'hanno lasciato buone vibrazioni, con il loro ambiente degradato fatto di palazzi bassi, rovine e marciume, altri chilometri di pellicola mentale da aggiungere. Che poi scopro essere il quartiere più veramente indipendente di NYC, Williamsburg. Un meltin pot di etnie incredibile, mini-market, deli, ristorantini e negozi gestiti da gente originaria di ogni parte del pianeta. Ho mangiato anche un'insalata, ma sapeva di plastica. Prima ancora al Guggenheim, incredibile il museo ma così così la mostra presente di Louise Bourgeois.
Dimenticavo: ieri sera primo impatto con la New York notturna, tanta, tanta celluloide. Concerto di Harmony Club, Stars Like Fleas e soprattutto Gang Gang Dance, che hanno spaccato di brutto. Non io, con le lenti a contatto secchissime già all'una di notte e gambe e piedi che ancora mi maledicono per le miglia percorse.
Fa caldissimo.
28 LUGLIO 2008, LUNEDI', NEW YORK


Sono sul traghetto per Staten Island, e mi tatuo in mente le cartoline di Liberty Island e Lower Manhattan, meraviglia per gli occhi. La Statua della Libertà me la immaginavo ben più grande: vuol dire che riserverò la salita, tra qualche ora, sul solo Empire State Building, che basso non è di certo!
Ho un piede che mi fa male da morire, ma stoicamente resisto.  Stamattina ho pure sbagliato metro e sono finito di nuovo a Brooklyn senza volerlo, ma perlomeno mi ha permesso di godermi la traversata del ponte di Manhattan e la vista delle cascate artificiali sotto quello di Brooklyn.
Ieri gran bel festival alla McCarren Pool, pieno di gente folle vestita alla neo-indie rock, tanta, troppa moda, o in costume nonostante una pioggia da diluvio universale! Tante belle ragazze, un delirio generale, e una location fantastica che da noi puoi trovare solo ai grandi festival. E per giunta gratis e a cadenza settimanale: beh, siamo o non siamo a New York? Ting Tings meglio di quanto pensassi, hanno un bel tiro, poi ok i Black Mother Super Rinbow e per finire gli MGMT, neo electro-freak-psichedelia di fine Anni Zero. L'ennesimo revival, ma di buon gusto. Poi, tornato a Manhattan, tappe al Chelsea Hotel, al Madison Square Garden, all'Empire State Building, sempre groundfloor, quindi un sacco di West Side e Broadway, e per finire Harlem al ritorno a casa. Un paio di Camel davanti casa di Will, il nero del cancello d'ingresso che si fonde col cielo, muri sporcati da decenni di fumo e le mille luci che marchiano come fuoco New York.
Poco dopo: Capatina a Staten Island, l'idea di visitarmela non mi attira più di tanto e aspetto il traghetto per tornare a Manhattan. Oggi sto facendo economia, ho speso solo due dollari ed è già mezzogiorno. Caffè e donut, street food style: continuare così. Un paio di appunti estemporanei: Mike D dei Beastie Boys è cliente fisso di Will al Murray's Cheese, luogo che nomina anche in "Oh Word"! Appunto numero due: mi sono svegliato alle 7:45 di mattina di mia spontanea volontà: strani effetti, l'America.
Pomeriggio: Ore 18 - anzi, 6pm - sono al Bryant Park seduto ad un tavolino all'aperto, godendomi un pò di relax. Il parco è completamente pieno di persone per il cinema all'aperto di stasera, in programma c'è "L'appartamento" di Billy Wilder. Tra poco me ne vado a cercare un chiosco di panini, sono ancora sotto i quindici dollari spesi e ho pure comprato un paio di occhiali da sole viola da new raver, contrattando sul prezzo e risparmiando un paio di verdoni: Ale, sei proprio un morto di fame! Dopo il traghetto da Staten Island, giri al Lower East Side, all'East Village e al Greenwich. Ho rivisto l'ex CBGB'S, il Loft e la fantastica via St. Mark's Place. E ancora gli ottimi negozi di dischi Other Music e Sounds, riuscendo addirittura a non comprare nulla, che sono già a quota cinque dischi in quattro giorni. Mi rifarò con gli autobus che Will m'ha consigliato, compagnie asiatiche da qui fino a Washington DC, con le quali dovrei risparmiare una quarantina di dollari. Ciliegina sulla torta, Times Square: INCREDIBILE! Sembra di essere nel futuro, Piccadilly Circus al confronto è il Medioevo. Sto facendo un mare di foto, qualcuna davvero niente male: buon materiale per una possibile mostra.
30 LUGLIO 2008, MERCOLEDI', NEW YORK


Caro diario, quanto tempo!
Sono in un piccolo parco dell'East Village a rilassarmi, pensando da dove iniziare la lettura della Lonely Planet USA appena comprata. Oggi è l'ultimo giorno a New York, domattina si parte per Boston, Massachussets: più tardi chiamo Hannah, la couchsurfer che dovrebbe ospitarmi ma che non dà più segni di vita.
Eravamo rimasti a Bryant Park: bel film davvero, "The Apartment", che in inglese ho capito abbastanza. Poi lunedì sera, dopo il film, fantastico giro notturno a Times Square che di notte è ancor più impressionante: è davvero una città che non dorme mai. Non come Will, che quando sono tornato a casa era già in coma! Ieri, invece, "brevemente": Battery City Park, East River Park, Williamsbourg Bridge, Umberto's clam house e il Bloody Angle in Little Italy, il Max's Kansas City, lo Studio 54 e la Factory che mi sa tanto non c'è più, o forse ho sbagliato indirizzo. Oggi invece uscita con Will al Bronx, dove visitiamo i due Yankee Stadium, quello nuovo e quello vecchio che a breve sarà demolito. Scroccate lavatrice e brunch al Sylvia Soul Food in Harlem: patate, uova, biscotti al formaggio, veramente deliziosa. Quindi un bel giro per Harlem, lo storico Apollo Theater, la Columbia University e il Riverside Park, infine il Dakota Hotel dove hanno sparato a Lennon e la casa di James Dean. Poi Will, con cui finalmente ho fatto almeno una foto, se ne è tornato a casa che domani lavora DICIOTTO ore. Le coincidenze della vita: Will frequenta un corso sui vini, e ieri sera cosa ha assaggiato? Lacrima di Morro d'Alba! Incredibile quant'è piccolo il mondo. Domattina si parte per Boston con la Fung Wah Autobus, che Dio me la mandi buona. E, maledizione, il mio caricabatterie non funziona. Dimenticavo: ovviamente New York sale incondizionatamente e irrimediabilmente al primo posto nella mia classifica delle città più belle al mondo
Più tardi: Hannah di Boston ancora non mi risponde, inizio a preoccuparmi. Scrivere seduto a un tavolo di Starbucks dopo un buon espresso mi fa sentire più newyorker! Nuovi, ennesimi bei posti: Orchard Street, St.Marks Place, l'East Village nel suo complesso così come il Lower East Side (L.E.S.), Little Italy così così, meglio Chinatown e, ovviamente, Williamsburg! Due giorni fa ho visto pure un gran murales di Keith Haring. Quanti stimoli!
31 LUGLIO 2008, GIOVEDI', BOSTON


Va bene che prima o poi doveva succedere, ma non alla seconda tappa, maledizione. La couchsurfer che mi doveva ospitare qui a Boston è scomparsa nel nulla, sono senza un tetto e giro da tre ore con quasi venti chili sulle spalle. Speriamo solo che l'ostello non costi molto.
Boston è una città graziosa e non troppo grande, il centro si gira a piedi senza problemi, tranquilla e dall'atmosfera molto europea. Case basse di mattoni di un rosso affumicato che tentano inutilmente di nascondere i grattacieli sullo sfondo; tanto verde, un bel porto e un sentiero di mattoni rossi che attraversa la città e ti guida alla scoperta dei più importanti luoghi e monumenti storici. Ha anche una Little Italy più grande e più autentica rispetto a quella newyorkese. Molti i turisti italiani per le strade. Il viaggio nell'autobus a mandorla è andato bene: le superstrade sono molto simili alle nostre, forse appena più larghe e col fascino della segnaletica da film. Sosta toilette in Connecticut, e Providence, Rhode Island, intravista lungo il tragitto. Ieri ultima serata nella Grande Mela, uscita finale e quindi "Die Hard with a vengeance" a casa: grazie a Will Withlow, un po' meno alla bostoniana.
1 AGOSTO 2008, VENERDI', BOSTON


Difficilmente poteva andare peggio: QUARANTATRE' dollari di ostello, dannazione. Dopo una ricerca estenuante e una gamba quasi in cancrena, mi sono fermato all'HI Boston: per compensare sono andato a letto senza cena, compensata stamattina da una super-colazione gratuita che mi dovrò far bastare anche come pranzo. E per il quarto giorno di fila, zero sigarette!
Ieri in ostello avevo come compagni di camera un finlandese piuttosto rintronato e un belga mezzo spagnolo che parlava quattro lingue, incluso un italiano stentato, simpaticissimo, anche perché m'ha regalato ben tre bottiglie di Leffe che s'era portato per ricordarsi dei sapori di casa! Anche lui trascorrerà alcuni mesi negli States, ma rimarrà sulla East Coast con l'intenzione di trovare un lavoro.
Boston comunque è una città che merita una visita, e ancor di più Cambridge, dove mi trovo in questo momento: una moltitudine di case basse e piccoli shop, mi immagino che Pixies, Dinosaur Jr e compagnia bella vengano da qui. E poi il MIT, con i suoi edifici disseminati lungo il corso del fiume, e l'immensa Harvard, nel cui campus centrale sono seduto proprio in questo momento a scrivere queste righe. Pienissimo di italiani, comunque.

Più tardi: Dimenticavo, in centro c'è una marea di cimiteri, lapidi dappertutto!! La città è ricca anche di pub irlandesi, edifici piccolissimi sui quali svettano le cime dei grattacieli, tra cui uno di vetro che riflette tutto l'azzurro e si fonde col cielo. Decido che al ritorno userò questi appunti su ogni città visitata per brevi note da allegare alle foto per una mostra. E anche di fare molto sport, mangiare regolare e di provarci con Lei, se è libera. Intanto, l'appoggio a Philly è confermato!

Ancora più tardi: 9.30pm, tra un paio d'ore si torna a New York e adiòs Boston, destinazione Philadelphia. Mi trovo già alla stazione degli autobus, che coi bagagli di strada a piedi riesco a farne poca, e in più avevo paura che chiudesse la biglietteria. Incontro nuovamente quel pazzo del belga, è davvero un peccato non fare lo stesso giro. Sorpresa delle sorprese, ricevo una mail da Hannah, la couchsurfer di Boston, datata ieri mattina: aveva perso il cellulare e m'aveva dato tutte le indicazioni via mail, maledizione a internet che non ho a portata di mano e maledetti dollari buttati al vento per nulla. Ma fa parte dell'esperienza, in fin dei conti. E poi, senza questo piccolo inconveniente, non sarei entrato nel magico mondo del Book Crossing: abbandono lo splendido "L.A. Confidential" all'ostello, terminato solo in una settimana, e lo scambio con "Il Sarto di Panama", in lingua inglese, speriamo di capirci qualcosina.
Qualcuno ha un cavatappi per le mie due Leffe rimaste?

E' già una settimana che viaggio, già un ottavo del totale. Ed è iniziato Agosto, con me a Boston... AGOSTON! Ok, chiudiamola qua.


2 AGOSTO 2008, SABATO, NEW YORK, PHILADELPHIA


Un viaggio allucinante stanotte: quattro ore di autobus fino a New York, in cui dormo al massimo mezz'ora. Arrivo in piena notte nel Lower East Side, mi incammino a piedi in direzione Lower Manhattan, dove penso si trovi la stazione Greyhound - e non sono proprio due passi - solo per scoprire, ma solo alla fine, che East Broadway in realtà era a due passi, in piena Chinatown. Dietrofront.
Che paura: notte fonda, folli e ubriachi e molto altro ancora per strada, ed io assonnato e con tutti i bagagli. Un'attesa allucinante e lunghissima sotto un cavalcavia di Chinatown, per poi salire su autobus vietnamese assurdo, con la tipa alla "biglietteria" dall'attitudine da kapò nazista: "Hey, where do you go?!", ripeteva la tipa col suo inglese incomprensibile a chiunque le passasse a meno di dieci metri di distanza, per convincerlo a prendere il bus per Philly o Washington DC. Scene surreali, ma per dieci verdoni si può fare questo e altro.

Poi si parte, un'altra ora di riposo, e arrivo a Philadelphia. La prima impressione non è delle migliori, la piena la città di matti, barboni e sciancati, una bella dose di tristezza. Arrivo al quartiere di Dana, la couchsurfer, che si trova in piena periferia, ed è ancora peggio: avete presente i quartieri poveri nei film di Rocky?! Esatto.
E infine, ciliegina sulla torta, sembra ripetersi il film di Boston: cellulare scarico, il telefono pubblico che si mangia i miei soldi, la casa di Dana senza campanello, nervi che saltano e bestemmie. Ma alla fine la faccenda si risolve, incontro Dana che mi accompagna all'ufficio dove lavora, dopo aver scaricato alla stazione dei treni altri due couchsurfers ungheresi in partenza. Su internet compro una scheda telefonica low-cost per l'Italia e chiamo casa per farmi ricaricare il cellulare: emergenza risolta, ma quanta fatica.
E poi Dana mi scarica con una guida Not For Tourists, ma i problemi a questo punto sono altri: puzzo, sono sudato e sporco, ma soprattutto ho un'irritazione tremenda all'inguine, dannazione a me e alla mia smania di andare a piedi dappertutto. A ogni passo fitte terribili, non riesco a camminare se non con un passo da cowboy.
Comunque, come ogni buon supereroe che si rispetti, giro il centro di Philadelphia in lungo in largo e l'impressione generale migliora: apprezzo soprattutto il viale che porta al museo, proprio quello con la scalinata che Sylvester Stallone sale di corsa su "Rocky", pieno di turisti che da idioti lo imitano. Che nella lista degli idioti vorrei esserci anch'io, ma il dolore me lo impedisce. Di fianco al museo c'è addirittura la statua di Rocky, proprio quella del film: questi americani... naturalmente, la foto è d'obbligo!
Terza città, terza Chinatown, identica alle prime due.
L'impressione generale è quella di una città abbandonata a se stessa, senza l'hype evergreen di New York o il classicismo e la carica giovanile e universitaria di Boston: insomma, la vecchia capitale sembra nascondersi nell'ombra.
Domani, qualunque sia la situazione tra le gambe, tappa a South Street e alla periferia sud, che la Sacra Bibbia Lonely Planet indica come la zona più effervescente della città. E poi l'autobus per DC previsto per le 17, continuiamo il risparmio con le compagnie asiatiche. M
entre scrivo sono seduto all'angolo tra l'11th e Arch Street, aspettando Dana per andare a cena. Dio, placami l'irritazione inguinale! 
3 AGOSTO 2008, DOMENICA, PHILADELPHIA, WASHINGTON DC
Appena svegliato a casa di Dana: doccia e colazione, finalmente pulito, riposato, sazio, ogni problema è risolto. Dana è uscita, ma tornerà tra poco per accompagnarmi in centro.
Ieri sera un bel giro lungo la favolosa South Street e un pò di shopping, alla faccia del risparmio: un bel paio di jeans attillati usati da 12 dollari, e l'ultimo dei Dirtbombs, che ultimamente fa capolino piuttosto spesso nel mio I-pod. E nel record shop avevano pure Uzeda, Ovo e Settlefish, italiani brava gente!
Un salto in uno splendido supermarket ultra-vegano, scoperte tanti cibi interessanti, e infine una buona cena in un ristorante cino-vegano, in cui scopro surrogati vegetali della carne che sembrano davvero carne. Un salto in una disco Anni Ottanta, ma complici la stanchezza di Dana, il mio corpo malandato e le due ore di sonno nel serbatoio, niente ore piccole.
Brevi note: il chihuahua di Dana, Pengui, che si siede al "sit!" e canta/ulula al "sing!", memorabile! Inoltre, trovato un appoggio sicuro a Washington, per la quale parto più tardi. E infine, il quartiere di Dana si chiama Kensington, ed insieme a Fishtown è veramente la zona più povera della città: Rocky everywhere.

Più tardi: sono le 19 e sono appena arrivato a DC. Mi fiondo in un ristorante cinese alla ricerca di un pasto economico e abbondante, per quello che sarà il mio primo pasto della giornata... meglio non viziarsi troppo. Poi un bel giro al tramonto e in notturna per The Mall, con una visita a tutti i maggiori monumenti, che replicherò anche domani con più calma: The Capitol, musei vari, la White House, la reflecting pool, il Lincoln Memorial... and the Washington Monument, come dicevano i Q And Not U! Fascino e altri rotoli di pellicola per la mia mente. E chilometri di asfalto: sarà "soltanto" una città da 580.000 abitanti, ma accidenti se c'è da sfacchinare!

Ancora più tardi: è stata un'impresa colossale trovare casa di Gene, l'indirizzo era sbagliato e lui introvabile, irraggiungibile al telefono fino all'una di notte. Alla fine riesco nell'impresa, ma scopro che la mattina stessa m'aveva mandato una mail per scaricarmi! Fortuna che non l'ho letta e mi sono intrufolato da lui senza saper nulla... comunque un tetto per la notte ce l'ho, appartamento nel college della Catholic University, con tanto di camera personale, anche se gelida, a causa dell'onnipresente aria condizionata. Abitudini balorde... Gene ha origini nigeriane, parla anche spagnolo e francese, e studia medicina. Tra poco se ne andrà in Bolivia per un anno o due ad insegnare ai bambini. E ha solo ventidue anni!
4 AGOSTO 2008, LUNEDI', WASHINGTON DC
Nonostante il tentativo di scarico di ieri, Gene è gentilissimo, mi lascia casa a disposizione al risveglio, doccia, colazione e internet. Siamo d'accordo di sentirci stasera verso le 8 per incontrarci in centro, ma forse mi faccio vivo sotto casa sua che sono completamente a corto di credito: un bel problema da risolvere, altrimenti per tutto il viaggio rischio di spendere almeno trecento euro di chiamate!
Programma della giornata, ritorno a The Mall, poi Dupont Circle e Adams Morgan, due bei quartieri alternativi. Tra poco si va al U-District per poi tornare a Downtown, a piedi ovviamente.
E domani sono d'obbligo una visita a Georgetown e soprattutto la ricerca della Dischord House. A proposito: non ho resistito alla tentazione di nuovi acquisti di dischi: Teen Idles, Egg Hunt, One Last Wish e la compilation "1981: The Year in 7"" si aggiungono alla collezione, che qui a DC era un dovere!
5 AGOSTO 2008, MARTEDI', WASHINGTON DC
Una nuova bella sfacchinata ieri: dopo lo U-District trovo anche la stazione della Greyhound, dove scopro che devo tornare a New York per la terza volta. Sarà un giro assurdo, con l'autobus che ci metterà più di dieci ore per arrivare fino a Toronto. E in ogni caso una soluzione più conveniente della Greyhound non c'è. Ottantasette dollari di biglietto, dannazione.
Oggi sono troppo irrequieto a causa di preoccupazioni varie: ancora non so se ho un appoggio a Toronto e ho una paura, forse immotivata, per il confine col Canada. Devo ritirare i soldi, devo farmi la barba, che con questi americani alla frontiera non si sa mai! Infine devo trovare una scheda prepagata per chiamare casa senza aprire un mutuo e, soprattutto, sto spendendo troppo. Parola d'ordine, mantenere la calma.
Ieri sera e stamattina internet, invio richieste per San Francisco e Los Angeles, rapida visita su MySpace, una mail globale per informare la gente della mia sopravvivenza, e una e-mail Sua che lascia ben sperare al ritorno a casa. Ah, e la gazzetta con Mourinho che già dà i numeri!
Ho appena visto la Dischord House dopo un estenuante pellegrinaggio a Bleecher Street, agli estremi confini di Washington: una bella fatica, ma che emozione, altro che la Casa Bianca! Ora qui a Georgetown, quartiere che pullula di belle ville per gente facoltosa con tanto di signorone sovrappeso che portano a spasso il cane. Naturalmente la metro qui non passa, non serve, visto che tutti hanno il loro Suv personale: morale della favola, devo farmi almeno altri quattro chilometri per tornare in centro. Con il piccolo particolare che la mia casa mobile si trova sulle mie spalle, e grondo sudore. La doccia di stamattina è un lontano ricordo. Per la legge dei grandi numeri, non può piovere, no.

Più tardi: Legge di Murphy vs. Legge dei grandi numeri 1-0. Sì che può piovere, sì. Ma me la sono cavata. Ora sono in un piccolo parco qui a The Mall, un meritato riposo dopo una lunga camminata con tutti i bagagli... e alla fine ho visto tutto ciò che volevo vedere qui a Washington DC.
6 AGOSTO 2008, MERCOLEDI', NEW YORK, TORONTO


Gene! Non si è fatto né vedere né sentire alle otto, così me ne sono andato senza salutarlo: gli scriverò una mail per ringraziarlo. Sono in viaggio verso Toronto sul Greyhound, ho dormito relativamente bene. Ennesimo ritorno a New York, con tanto di siparietto con barbone rompiballe scacciato via in malo modo, causa sonno e nervosismo. "Take it easy, man", m'ha anche detto!
Tappe lungo il percorso: Nww York, Binghamton, Cortland, Syracuse, e mi aspettano ancora Rochester e Buffalo. Sù, che diciassette ore non sono poi così tante... Mi sento tranquillo per il confine, ma ancora non ho appoggio in città, alla peggio andrò in ostello... In compenso ho risolto il problema delle chiamate, non dovrei più spendere per le telefonate verso casa, ma una prepagata è meglio comprarla in ogni caso.
Dimenticavo: gli autisti degli autobus parlano come il deejay radiofonico su "Le Iene" di Tarantino, troppo cool!
Infine, ieri ho assistito a un arresto dal vivo, come in tivù: cinque o sei poliziotti in bicicletta e pantaloncini corti ad ammanettare due ragazzi neri che magari avevano solo attraversato la strada col rosso. Che mondo!
7 AGOSTO 2008, GIOVEDI', TORONTO


Che bella Toronto! E' tutta la mattina che giro per Queen Street, una via che mi ricorda South St. a Philly e Williamsburg e L.E.S. a New York. Solo che qui sembra tutto più naturale... come dire, meno... americano! Ieri, appena arrivo alla stazione degli autobus becco subito un punto internet in stazione: Eliot ha risposto alla mail e può ospitarmi, ottima notizia. Sono salvo ancora una volta per il rotto della cuffia, che ansia però!
La metro è carissima. Arrivo a casa sua, che è uno spettacolo, infatti voglio farci un mare di foto: muri pitturati, piante dappertutto e poster pendenti. Vive con Julian, in gamba, la ragazza che ancora non ho capito come si chiama, e un cane enorme semplicemente chiamato Dog, che stanotte ha dormito in salotto di fianco a me. Eliot a primo impatto non è il massimo della simpatia, spocchioso e snob, ma pian piano si digerisce. Davvero bello anche il quartiere, Danforth.
Oggi, tanto per cambiare, vado nel panico perché non riesco a prelevare nemmeno 300 dollari canadesi, spero solo sia un problema di sportello. Poi andrò alla stazione degli autobus, provando a prelevare lì. Ho deciso di fare il pass Greyhound No Limit, che mi conviene eccome. Altrimenti dovrò vivere per il resto del viaggio con una media di 5 dollari al giorno...
Fermi tutti, m'ero dimenticato: ho anche il timbro del Canada sul passaporto!! Stasera cena a scrocco, yé.

Più tardi: ho comprato il Discovery Pass della Greyhound. OTTOCENTO DOLLARI. Ho dovuto prelevare e pagare un po' in dollari americani e un po' in dollari canadesi. Ho cambiato in dollari anche i 50 euro che avevo, e nonostante tutto m'è rimasto ben poco. Parola d'ordine: tirare la cinghia per 2-3 settimane, ce la posso fare. In compenso non ho più problemi di autobus né, per il momento, di alloggio: Rolando a Detroit mi conferma che è disponibile, ho già indirizzo e numero di telefono, e stasera scrivo di nuovo anche a Crystal di Chicago, di cui peraltro ho già tutti i contatti.
Da Eliot, oltre a me, dormono altri due couchsurfers, una bellissima ragazza francese e un ragazzo irlandese: viaggiano insieme ma non so se fanno coppia, staremo a vedere. Domani tutto a posto per Niagara Falls, la prima cartolina per zia Maria è assicurata! E lo sapevate che si pronuncia "Naiagra Fols"? Mah...
Toronto mi piace sempre di più: la maggior parte dei grattacieli sono residenziali, e ti vedi queste vetrate piene di sfumature sul verde dovute alle tende chiuse o semichiuse, altro che la monotonia dei grattacieli commerciali. Davvero una bella città.
La CN Tower me la risparmio, che salire in cima costa ben 28 dollari. Alta sì, ma sicuramente non tra gli edifici più alti del mondo come dice Eliot. FORSE del Canada. Spocchioso...
8 AGOSTO 2008, VENERDI', TORONTO, NIAGARA FALLS


La città è da 9 pieno, ma la mia permanenza qui a Toronto è sicuramente da 10 e lode: ieri sera fantastica cena a casa di Eliot: Julian ai fornelli ha affumicato mezza casa, ma alla fine ha cucinato da dio. Tagliata, zucchine al limone, pannocchia e burro, una simil tortilla spagnola e due dolci buonissimi. E tanta birra! A cena io, Eliot, Julian, Marie la ragazza di Eliot, Emilie e Paul (gli altri due CSers che forse incontrerò nuovamente a Los Angeles) e la sorella di Julian.
Poi hookah per la seconda sera di fila - devo comprarlo assolutamente al ritorno - e tanta buona musica, gran bella collezione di Eliot e complimenti ricevuti per le mie selezioni. Anche tante foto, che poi dovrò farmi passare.
Emilie è una ex studentessa Erasmus a Dublino, ed è lì che ha conosciuto Paul, il suo ragazzo. Hanno vissuto e lavorato due mesi a New York (allora è possibile!) e ora trascorrono l'ultimo dei tre mesi in viaggio. Bene, due nuovi contatti su Couchsurfing.
Insomma, un bel clima ieri. Poi sono arrivate anche tre amiche di Eliot e sono andato a dormire da loro, che la casa era affollatissima. Bell'appartamento, bella gente super ospitale, Nora, Keira e l'altra che non ho capito il nome. Dopo una notte sul divano, stamattina colazione con Keira, con caffè, latte e uova al tegamino, tante le chiacchiere di politica, vita, studio e stronzate varie. Con me ho una mela. 
Adesso sono sul Greyhound per Niagara Falls: il Discovery Pass funziona! Perlomeno in Canada. Il ritorno a Toronto è previsto tra le 18 e le 21.

Più tardi: Che emozione le cascate del Niagara! Quella sul lato statunitense è grande ma niente di che, anche perchè lineare. Ma quella canadese fa impressione, una massa immensa d'acqua che sprofonda in un semicerchio di vuoto: da lontano non sembra neanche tanto grande, ma quando ti trovi a pochi metri dallo strapiombo fa davvero impressione! E tutto il vapore che risale dal basso, ti bagna tutto e non ti lascia scattare nemmeno una foto.
Sul bus, tornando a Toronto, il pass continua a funzionare. Speriamo di scroccare una bella cenetta anche oggi, che nello stomaco ho un uovo, una mela e un pacchetto di patatine.
9 AGOSTO 2008, SABATO, DA TORONTO A DETROIT


Greyhound con destinazione Detroit, vediamo se mi lasciano rientrare negli USA.
Ieri ottima, ultima serata a Toronto, con un festival della cultura greca per tutta Danforth: musica, un fiume di gente e tanto cibo tipico, delizioso, da provare più spesso al ritorno. In giro con Eliot, la sua amica Margot da San Diego; Julian, Emilie, Paul e una coppia canadese di cui non ricordo il nome. E Margot che conosceva addirittura uno di San Benedetto del Tronto: un'altra prova eclatante di quant'è piccolo il mondo! Mi spiace lasciare Toronto, ma ho deciso di mettere da parte tutti i "questa è l'ultima volta che vedo/vado/passo..." e così via, che la lista delle malinconie da addio si sta facendo troppo lunga... più cinismo, ci vuole!
Appena partiti, 8.30am. Ricordare casa di Eliot e soci: tappeti, pareti verniciate e piene di stencil, tucani, gru, cerchi e triangoli, colori diversi da spigolo a spigolo e da lato a lato, disordine, piantine su ripiani fatti con casse di frutta, mobili raccattati, hookah, quadri e poster pendenti, Africa in cartina, tante stoviglie, le luci dell'albero di natale appese e accese intorno alla finestra, pile di libri dappertutto, e cane.
10 AGOSTO 2008, DOMENICA, DETROIT


E' già notte qui a casa di Rolando, Detroit, MI. Ma ripartiamo da ieri.
Alla Dogana Canada-USA tutto ok, a parte un malditesta allucinante. Il primo impatto con Detroit è stato spaventoso: una città deserta e abbandonata che cade a pezzi, rovine dappertutto, sembra un incubo post nucleare o un film di Carpenter. E, come se non bastasse, appena sceso dall'autobus ecco la pioggia, sempre di più, aggiungi vento e ottieni tormenta. E io che arrivo a casa di Rolando completamente fradicio. E sempre col malditesta allucinante.

La casa è spettacolo puro: al limite estremo di Corktown, la zona fantasma suddetta, è un loft enorme ricavato da un ex magazzino di vestiti, ancora più arty di casa di Eliot. E per non smentire la mia sindrome da Zelig, mi vien subito voglia di vivere in un loft.
Rolando è ospitalissimo, scrocco subito doccia e lavatrice, che era ora, ormai. L'unica difficoltà sta nel fatto che non capisco tre quarti di ciò che dice, maledetto accento del Michigan. Appena si placano malditesta e diluvio universale parto all'esplorazione del centro, pieno di grattacieli ma sempre deserto, un Coney Dog come primo e unico pasto della giornata: forse è per questo che sembra addirittura buono! E poi un giro al lago, con la Windsor canadese sull'altra sponda. La decadenza della città inizia a piacermi.
Torno al loft ed già è arrivata un po' di gente per il CouchSurfing Meeting organizzato per la serata! Conosco un sacco di gente: Blake, Andy, Andrea, Shirley, Curtis e altri di cui non ricordo il nome. In programma un film sul tetto dell'edificio, cinema all'aperto allestito da noi alla meno peggio, con proiettore, lenzuola e assi di legno. In programma addirittura Corto Circuito, poi sostituito da uno splendido Baraka. Detroit dal tetto di Rolando, al tramonto, mi cattura definitivamente, e passo una delle serate migliori del viaggio. Niente male la doppietta Toronto-Detroit! Si va avanti fino alle tre, poi, finite le chiacchiere e le birre, m'addormento sul letto improvvisato dentro il mega armadio del loft.
 
Oggi: giro in bici con Rolando per tutta Detroit, un sacco di chiacchiere, una buona colazione abbondante con french toast, anguria, melone e litri di caffè.
Tornati a casa, un bel pisolino, e quando mi sveglio Rolando è già uscito per andare a cena dai suoi, m'aveva anche invitato ma mi sembrava troppo... però ora me ne pento! Razzolo le patatine rimaste da ieri e faccio un giro per il quartiere a scattare un mare di belle foto. Crystal da Chicago ancora non risponde, speriamo non sia l'ennesimo pacco.
Insomma, sono qui nel loft. Ve l'ho detto che per entrare bisogna passare per la galleria d'arte moderna al piano terra? Che poi qui in America il piano terra è il primo piano, che volendo ha anche senso... Insomma, tra poche ore Rolando mi accompagnerà a prendere il bus per la Windy City, e goodbye Detroit.

Note sparse: la scultura del pugno, della doccia e del cerchio vicino al lago, gli stadi dei Tigers e dei Lions, oceani di pioggia, i bei libri di musica e arte della coinquilina dai capelli rossi di Rolando, il libro con Clemente e Cucchi, la mia fame, il manichino senza cervello, cercare i libri di Chuck Klosterman e Tom Wolfe.
Voglio un loft anch'io.
11 AGOSTO 2008, LUNEDI', DETROIT, CHICAGO


Sono le quattro e trenta di notte, l'autobus di mezzanotte e tre quarti era pieno. Devo aspettare le OTTO DI MATTINA.
Ho appena scoperto che col fuso orario avrò un'ora in più per dormire, e inoltre il viaggio durerà più del previsto. Insomma, arriverò a Chicago per mezzogiorno e mezza. Ho un sonno micidiale, che combatto con sudoku, letture, scritture... penso al cibo che mangerò una volta tornato in Italia, e voglio fare un finesettimana a Bologna e uno a Pescara.
Poi cercare lavoro... mandare curriculum... studiare per l'esame di stato... e poi ho voglia di leggere tanto, narrativa ma anche ingegneria e anche informatica... e la mostra di foto... e i suoi messaggi, che il penultimo era rivolto a me, ne sono sicuro...
La stazione è chiusa, noi in attesa dentro e non posso nemmeno uscire per fumare. Del resto, non ho nemmeno le sigarette... la gente dentro dorme dappertutto, io aspetto e mi drogo di insonnia.

Di giorno, anzi, pomeriggio inoltrato. Giornata allucinante, viaggio infinito, arrivo qui a Chicago alle 14:30 circa, 15:30 per me. Crystal non risponde al telefono, e mi rendo conto che trovare la piccola Pierce Avenue sulla mappa sterminata di Chicago non è poi così semplice. Morale della favola, sono di nuovo nella merda. Dopo le bestemmie di rito inizio a camminare verso il Loop, ovvero il centro, così chiamato perchè circondato dalla caratteristica subway che subway non è, dato che scorre ad anello a dieci metri sopra le nostre teste. Mi imbatto subito nella Sears Tower, l'edificio più alto degli Stati Uniti, sebbene sia meno imponente dell'Empire: come si dice, il nero sfina!
Il centro di Chicago è spettacolare, con un mare di grattacieli: potrebbe sembrare simile a New York, ma in realtà rimane più discreta, meno dirompente e più accogliente. Più... chicagoana, ecco. Un bel panino da Subway che mi calma lo stomaco e il colpo di genio di andare al punto informativo della città, dove in un colpo solo becco mappa dettagliata di Chicago gratis e localizzo Pierce Avenue. E scrocco pure internet. Poi riesco finalmente a parlare con Crystal: fortuna sfacciata o sfiga maledetta, mai una via di mezzo!
Prendo la metro fino al quartiere di Wicker Park e vado a trovarla al bar dove lavora: una tipa molto cool che parla a raffica, dice più parolacce di me e, se non ho capito male, ogni settimana organizza un Naked Thursday, ovvero una festa in casa dove tutti se ne stanno nudi... una pazza! Mi dice di aspettarla a casa, per entrare basta passare dal retro che tanto è aperto. Vive con due tex-mex di cui non ricordo i nomi: quattro chiacchiere in spagnolo con uno dei due, tutto tatuato, forse mezzo gay e che ascolta i Cursive. Facciamo un paio di partite con  il suo biliardino casalingo, uno a uno. Poi esco a fare quattro passi. Wicker Park mi piace, l'ennesimo quartiere trendy alla Lower East Side, South o Queen Street. 
Domani decido se la città è da 9 o da 10. Ma mi sa che è da 10. Quando torno a casa devo farmi una doccia che, cazzo, puzzo peggio di un cane.
12 AGOSTO 2008, MARTEDI', CHICAGO


Eh sì, siamo sul 10.
Mi trovo al Jay Pritzker Pavillon che mi sa tanto di Frank O Gehry, quello del Guggenheim di Bilbao, per intendersi. Stamattina mi sono sparato Millennium Park e Grant Park, Museum Campus e un altro giretto in centro. La metro qui è carissima, ma domani un giro del Loop è d'obbligo. Per non parlare di una capatina all'Arena dei Bulls!
Ieri poi, tornato a casa da Wicker Park, mi sono visto Juno in compagnia di Benji e Anthony, i due tex-messicani: non male il film, anche se un pò troppo modaiolo per i miei gusti. Poi serata tranquilla in compagnia di Crystal, condita da sangria e una buona cioccolata aromatizzata al limone e al pepe.
Chicago è immensa, a me resta solo un giorno e mezzo, quindi tanti saluti, caro diario!

Più tardi: tanti, tanti, tanti chilometri... lo zoo è chiuso, ci tenevo davvero ad andarci. Diario, ma sai che non sono mai stato allo zoo, io? In compenso ho visitato il museo della fotografia e il Museum of Contemporary Arts / MCA con una favolosa e ricca mostra di Jeff Koons e altri artisti interessanti. E poi, come al solito, la paranoia da libreria di museo d'arte contemporanea, piena di mille libri interessantissimi che ti danno mille stimoli che non puoi soddisfare. E che non puoi comprare, anche perchè oggi sono già a quota 17 bucks. 
Mi aspettano DUE GIORNI di autobus, il solo pensiero mi spaventa. Dopo magari chiedo a Crystal se ha un libro da regalarmi, ché sennò muoio in viaggio. Domattina la prima cosa da fare è prendere i biglietti, così da evitare la situazione di Detroit.
A quest'ora, a casa, sono già a festival inoltrato per il compleanno di Bloody Sound, che purtroppo mi perdo per il secondo anno di fila. Oggi ho un po' di paranoie su cosa fare quando tornerò a casa.

13 AGOSTO 2008, MERCOLEDI', CHICAGO


Dentro l'onnipresente Subway, vicino alla stazione Greyhound di Chicago.
Fuori piove, ho appena finito metà del mio Tuna Sandwich, che va a far compagnia alla cheese cake e agli ottimi ravioli ai funghi divorati da Crystal stamattina. Si parte per Seattle alle dieci di stasera, in totale fanno 45 ore di viaggio, inclusi fuso orario e soste a Milwaukee, Fargo, Minneapolis e un'altra decina di luoghi, tutte da mezz'ora o tre quarti al massimo. Sopravvivere!
Ieri sera party freakissimo nella casa dei matti, pieno di gente, amici di Crystal e Couchsurfers, birra, sangria e vino per la mia prima - anche se leggera - sbornia statunitense. Mi ci voleva proprio, mi ha reso più tranquillo e, anche se sembra un controsenso, più lucido. E mi ha anche fatto finalmente sentire la differenza tra americani ed europei, una sensazione difficile da spiegare a parole, più un sentore che una logica.
Naked thursday: Crystal in mutande e reggiseno, la sua amica senza pantaloni, un paio di tipi a dorso nudo, e fine: chissà che credevo... Però Crystal è matta da legare, due sconfitte a biliardino - tra cui una per dieci a uno - e s'è incazzata tantissimo!
Quando trovo un attimo di tempo devo aggiungere tutta questa bella gente ai contatti di CouchSurfing. Dimenticavo, ho trovato appoggio in un colpo solo a Los Angeles, Tijuana e Tucson, niente male. Rimane solo il problema San Francisco, speriamo bene.
Bye bye dear diary!
14 AGOSTO 2008, GIOVEDI', WISCONSIN, MINNESOTA, NORTH DAKOTA


Sono sull'autobus "solo" da tredici ore e già non ne posso più. E' pieno di gente, e dormire è un'impresa. Speriamo che il lettore mp3 regga, fondamentale ricaricare durante le soste. Una gamba è in cancrena andante, il braccio la segue a ruota. Lavare denti chiamare casa. Se il cuscino a Chicago lo compravo, non sbagliavo mica.
Comunque il Minnesota mi ricorda molto le campagne della Vallesina in questo periodo dell'anno, solo che è "leggermente" più vasto. Forza, facciamoci coraggio, in fondo mancano solo trentadue ore...

Più tardi: ho una fame bestiale. C'è una ragazzina di dodici o tredici anni qui vicino che viaggia assieme al padre, sovrappeso, barbuto e iper-tatuato, probabilmente con un passato da metallaro. Fumano entrambi... Insomma, la ragazzina mangia patatine e fried chicken, se tra poco non smette glielo rubo.
Fuori dal finestrino di sinistra il nulla, mentre dal finestrino di destra c'è il nulla. Dannato North Dakota, ma come m'è venuto in mente di farmi Chicago - Seattle in autobus. Eppure a scuola lo insegnano che le cartine geografiche sono in scala. Cellulare e I-pod sono mezzo andati, leggo scrivo dormo, ogni tanto piscio. Fortuna che l'autobus si è un pò svuotato.
Gli americani degli USA centrali sono come me li aspettavo: ignoranti nel senso buono, campagnoli, "weird" e "freak" e mi sa anche terribilmente conservatori. Una cornucopia di brufoli, barbe, sigarette e berretti. Speriamo che nessuno dìa di testa. Fuori, intanto, il panorama continua ad essere il più noioso visto in vita mia. Il North Dakota. E comunque Fargo è PEGGIO che nel film dei Coen.

Cinque minuti più tardi: sono stato troppo cattivo. Ignoranti sì, ma anche estremamente socievoli e sempre pronti a scambiare quattro chiacchiere. Questa è una delle principali differenze con l'Europa. Io e i miei pregiudizi e la puzza sotto il naso. Cinque minuti nei quali ci si incrocia per caso, e si parla come se ci si conoscesse da una vita.

Ancora più tardi (orario chicagoano, 7pm): siamo a Bismark, o almeno credo, "capitale" del North Dakota. Ci siamo fermati al Paragon Bowling: sono gli Stati Uniti centro-settentrionali che ti immagini, grandi e vecchie auto da lavoratori da industria pesante con le camicie a quadri, donne grasse dai capelli ricci da permanente Anni Cinquanta che mangiano cheeseburger al grill del bowling, me le immagino mentre si sporcano la camicia col ketchup, mentre fuori abbondano negozi di liquori e di armi aperti a tutti, sotto un tappeto di nuvole che ricopre il cielo e sancisce con sacralità che sono on the road come nel miglior film nella mia testa, altro che Detroit questo è il Midwest più rozzo e becero che c'è. Fiato, per me e per te.
Devo trovare un diversivo o un passatempo, non ho più nemmeno sonno e la follia inizia a farsi strada nel mio organismo. Scrivere, basta. Musica non posso. Sudoku o tetris sul cellulare non posso. Leggere idem. Provo a buttar giù un racconto? O un disegno? Mi invento qualche strana e inutile lista?
Quando deve passare alla svelta, stai pur certo che il tempo, alla svelta, non passa.

15 AGOSTO 2008, VENERDI', MONTANA, MY OWN PRIVATE IDAHO, SEATTLE


Ferragosto, sono su un autobus in mezzo al Montana, a migliaia di chilometri da casa, su una strada disastrata che punta Seattle.
Il paesaggio merita: alberi ovunque e rocce che iniziano a tingersi di rosso. Ogni venti o trenta miglia di natura, un casinò, un ristorante o un motel gestito dagli indiani nativi. Mancano circa otto ore all'arrivo a Seattle. Intanto l'autobus è di nuovo pieno, ho dormito poco e male, la conducente non sta zitta un attimo e i Rodan nelle mie orecchie non hanno pace. Qui gli autisti hanno la bella abitudine di presentarsi, ma questa s'è messa in testa di fare addirittura la guida turistica!
Ieri sera ho comprato, in un improbabile chiosco sperduto in mezzo al nulla e al buio, una bella cartolina trash del Montana per Lucia, anche se avevo in mente il North Dakota... altro che Memphis!
Intanto nel dolce far nulla affiorano pensieri vari per il ritorno: suonare, formare gruppi, cucinare, piscina, correre, bici, smettere di fumare o quasi, studiare, Bloody Sound, Scrotro, Kathodik, mostra di foto, fare un figlio con Lei. Tra poco l'autista l'ammazzo. E va pure a venti all'ora. Venti chilometri all'ora, magari miglia. Tra poco dovremmo arrivare al My Own Private Idaho, e non so che ore sono.

Più tardi: stiamo partendo da Spokane, Washington. Meno quattro ore, ce la posso fare. L'obiettivo principale, ora, è tenere libero il posto al mio fianco, così da godersi l'ultima parte del viaggio.
17 AGOSTO 2008, DOMENICA, SEATTLE



Diario, scusa l'assenza, ma questa pazza, pazza Seattle non mi lascia un attimo di tempo libero! E' assolutamente meglio di come me la immaginavo, Capitol Hill è il paradiso e c'è una densità di weirds da far paura, a cominciare dagli abitanti della casa di Celessa, la cosiddetta Goblin House: Fry, una ragazza pacata e paffuta che mi sa tanto è innamorata di Celessa, e che mi fa entrare venerdì appena arrivato, lasciando la casa nelle mie mani. Steven, un tipo assurdo coi baffoni che gira sempre col berretto da notte e i pantaloncini da ciclista, organizza mercatini di cd, libri e vestiti usati davanti casa e balla di continuo, uno strano incrocio tra Freddie Mercury e il protagonista dei video dei RHCP. E poi gli abitanti del piano di sotto, una comune tossica con un tipo che sembra Slash dei Guns, uno sempre ubriaco di brutto e un terzo che non sopporto, alcool, libri e sigarette dappertutto, più un laboratorio d'arte che una casa, e un flusso continuo di belle tipe, ancora più fuori degli altri. E ancora i vicini di casa, la bella Amanda ancor più bella di Celessa, anche lì altri Couchsurfers, Nick tedesco di Amburgo che sento più fratello solo perchè europeo, e Francis di San Francisco, che forse mi può aiutare con un appoggio nella sua città. E poi c'è Ian, un ragazzo di Vancouver che domattina parte e ci diamo il cambio, ovvero se ne va a vagabondare in giro per l'Europa. Intanto condivido la casa di Celessa con lui, simpatico suonatore di ukulele che se ne porta dietro sempre un paio e lì suona dappertutto. Uno alla volta, ovviamente.
Note sparse: il cha cha e i litri di birra, al lago Washington a fare il primo bagno americano, tuffi altissimi che attappano le orecchie e a prendere il sole, i caffè e le colazioni al Cafè Vita, la cucina messicana che siamo sulla west coast ragazzi, i gatti di Celessa e Fry che non mi lasciano dormire, Brian gentile che ci accompagna al lago in macchina, il Seattle center, Downtown, le colline di Seattle, i Mac dappertutto, il raduno dei tennisti sballati, le sigarette scroccate e le casse di birra al supermercato, casa di Amanda e il gatto matto e le amiche di Amanda e la casa un'altra volta, l'oceano Pacifico che è una baia quindi non vale, arte e moda ovunque, la fontana dove camminiamo dentro, tutte cose che stanno rendendo Seattle la tappa più divertente e memorabile del viaggio.

Devo chiamare nonna per gli auguri!


Cinque minuti dopo: appena chiamato nonna che è super commossa, felicissima lei e felicissimo io, ancora una volta in bilico tra il godere quest'esperienza fantastica e la nostalgia di casa.
18 AGOSTO 2008, LUNEDI', SEATTLE, POI OLYMPIA


On the road again. Stazione degli autobus, destinazione Olympia, arrivederci a questa meraviglia di città!
Ieri una buonissima colazione in un bar tra Capitol City e Downtown, dove la strada inizia a scendere. Da ricordare le patatine fritte hashbrowns e le uova strapazzate, io che imparo a fare le foto sovraesposte e non capisco un'acca di ciò che mi dice la cameriera gentile e carina. Poi direzione Lake Washington, io e Ian, alla ricerca della casa di Kurt Cobain: un viaggio in mezzo ai boschi che sa tanto di Seattle Anni Novanta, poi il cuore che pulsa e pulsa e pulsa una volta giunti lì. Chi mi conosce lo sa. Mura, alberi, panchina e recinto pieni di dediche, io estremamente pensieroso, assorbo tanto e non dico.
Poi si smorzano sia la tensione sia la fame, a suon di more che raccogliamo dappertutto sugli alberi e mangiamo a raffica, quindi al lago incontriamo una tipa mezza matta sui quarantacinque, Deborah, che si propone di accompagnarci come guida turistica in auto per tutta la baia. Ian è preoccupato, io dico di sì al volo, tanto è gratis! Un caffè a Medina sull'altra sponda del lago, visita di altri paesetti, giro alla Washington University e al U-District, quasi ai livelli di Capitol Hill, poi tanti saluti: verso la fine si rivela una fondamentalista cattolica, tanto che ci saluta con un "even if you don't believe in God, I'll pray for you guys!" Ok, in fondo è stata gentile.
Ieri altri tre cd presi in un negozio immenso a Capitol Hill, con una scultura di Hendrix di fronte, concerti all'interno e aperto pure di notte. E poi ottimo cibo, una pita buonissima con Ian e due sue amiche musiciste canadesi, caffè e birra. Fine serata da Amanda con lei, Ian, Nick, Francis e altre amiche, biscotti, sigarette, birra, gatto e un film bruttissimo, "The Dangerous Lives of Altar Boys" con la Foster e il fratello di Macaulay Culkin. Poi qualche ora di sonno, saluti a Celessa e Fry, telefonata ai miei e pronti alla partenza. Grande gente: non saprei spiegare il perché, ma la differenza tra la gente di East e West Coast si nota. La gente, i posti, l'aria. A Seattle ci lascio il cuore: God bless the Goblin House.

P.S. La gente qui negli USA matura prima, c'è un sacco di gente in gamba e indipendente anche di diciannove o vent'anni. Ah, dimenticavo: Fry ogni giorno ha il compito di andare al supermercato per comprare whiskey e champagne per tutti i pazzi del piano di sotto che non hanno ancora compiuto ventun'anni!
Le foglie di carta ritagliate con le poesie appese.

Più tardi: Olympia. Mah. Sarà il ricordo vivido di Seattle che mi fa vedere il resto più grigio. Sarà che per raggiungere casa di Elise e Risu ho impiegato due ore, con tanto di pioggia torrenziale, ombrello rotto, nessuna mappa e salite a non finire. Sarà che è lunedì e in giro non c'è tanta gente. Sarà che Olympia in fondo è grande come Jesi. Insomma, l'entusiasmo non è alle stelle. La casa delle ragazze è enorme, una tipica abitazione in legno circondata da un giardino, tutta scassata e davvero figa. Praticamente è una comune aperta a tutti, dove al momento vivono in dieci o undici anarchici convinti, ambientalisti e attivisti. Per rendere l'idea, hanno chiamato la casa Green House e loro si sono tutti cambiati i nomi con elementi della natura. Cheelum a raffica, sembrano un po' artistoidi depressi, con tanto di Nirvana in sottofondo. Comunque, sono tutti molto simpatici e estremamente ospitali. E hanno pure messo la credenza a mia completa disposizione.
Continuo a spendere troppo, Come on Pilgrim e Blind Idiot God si aggiungono alla collezione e mi gusto un buon pranzo vegano vietnamita. Ora devo riuscire ad arrivare al finesettimana senza prelevare, e a San Francisco, se non trovo appoggio, si dorme all'aperto.
Downtown Olympia è una graziosa cittadina, tante librerie, negozi etnici e ristorantini. Si respira l'attitudine ambientalista di questa città e la sua fermezza nel sostenere e supportare la piccola economia alternativa locale. Da prendere come esempio.
Ho trovato pure una cartolina di Seattle, qui, per l'hombre, che me ne ero dimenticato. Durante il viaggio, sono passato per Tacoma.
19 AGOSTO 2008, MARTEDI', OLYMPIA, PORTLAND


Dieci e trenta del mattino alla Green house, tra poco si parte per Portland, Oregon.
Una casa di pazzi, spiritisti, ex tossici, ultraliberali e completamente anarchici: ieri per la prima volta ho parlato con un trans, e ho avuto un serpente a dieci centimetri di distanza, intento a far massaggi a uno degli abitanti della casa. Cheelum sempre acceso, bolle di sapone piene di fumo, disegni, pennarelli e pennelli ovunque. Tutti gentilissimi e tante belle discussioni di politica, musica e bei posti qui negli Stati Uniti.
Ho rivalutato Olympia, specie questa zona periferica della città piena di vecchie case in legno e tanto verde selvaggio, dondoli, altalene, biciclette, tricicli e auto scassate e arrugginite davanti alle verande, il tutto immerso in una pace e in un silenzio che il rosa del tramonto esalta ancora di più. 
Non mi ricordo nemmeno la metà dei nomi di questa pazza gente, e soprattutto non ho chiaro quale sia Zephyr e quale Risu, le due ragazze che mi hanno dato appoggio su Couchsurfing. Forse Zephyr (o Risu?) mi ha trovato un appoggio per San Francisco, c'è ancora speranza. Nel frattempo, da Portland, Jordan non dà segni di vita. Proverò a chiamarlo una volta raggiunta la stazione degli autobus.
20 AGOSTO 2008, MERCOLEDI', PORTLAND, OREGON


In a bar under the sea. Tra Pearl District e Downtown, Portland, Oregon.
Ieri, appena arrivato, tre ore di pioggia con Jordan scomparso a riesumare i fantasmi di Boston, con tanto di casa mobile sulle spalle e la stazione Greyhound sorvegliata per evitare scrocconi di tetti e letti gratis come me! In ogni caso faccio un bel giro tra Pearl District e 23rd Ave, zona che apprezzo nonostante sia abbastanza maldisposto. Poi finalmente Jordan risponde e mi viene a prendere col suo furgoncino scassato a due posti che sa tanto di North-west. Socievole, originario di Denver, ha anche vissuto cinque mesi a Siena: d'obbligo un pò di chiacchiere in italiano, ma presto passiamo all'inglese, poi tappa a casa sua e subito a divorare un paio di pizza slices. E' contento che mi piaccia la pizza, Jordan, ma non si capacita di come un italiano voglia mangiare pizza qua in America! Inoltre scopro che la "pepperoni" in realtà è la nostra diavola, altro che peperoni, c'è il salame! L'ennesima deroga alimentare del viaggio. Poi una partita a Megaman 2 col Nintendo Nes americano che è diverso dal nostro: arrivo fino al nemico finale, ma niente da fare. Per un pelo...
Quindi andiamo a casa di amici suoi, dei quali uno è stato anche lui a Siena e parla italiano meglio di Jordan. Tante chiacchiere, Pebst a raffica, un paio di bombe west coast style belle cariche, birra e wishkey in un bar vicino pieno di gente incuriosita dal mio viaggio, discorsi di calcio europeo, politica, luoghi, poi a casa degli amici ormai belli andanti, a giocare col Nintendo Wii per la prima volta e a guardare la ginnastica artistica alle Olimpiadi in tivù, completamente assenti e coi cervelli in un'altra dimensione. Davvero non mi ricordo una botta come questa. Tra le varie stronzate, la Palma d'oro va a Jordan e alla sua traduzione di "smegma", ovvero "formaggio di cazzo"...
Chiudiamo con Jordan che, a casa, prova a spiegarmi come chiudere la porta il giorno dopo e come arrivare in centro, ma lui non parla più inglese e io non capirei nemmeno l'italiano, non riusciamo a mettere le parole in fila, scoppiamo a ridere e si va a dormire. Divano comodo ma un po' corto, ma non ci penso affatto. Che giornata folle!
Oggi ovviamente bestemmie per capire come arrivare in centro, tra quartieri industriali, tranvia rotto e autobus presi a caso. Finalmente arrivo in zona Pearl District e Downtown, dove mi trovo ora, seduto sul marciapiede al riparo dalla pioggia scrivendo queste righe. Colazione abbondante con uova strapazzate, hashbrowns, french toast, marmellata e litri di caffelatte. E un bel giro al Powell City of Books che è davvero immenso. Portland mi piace, sì.

Più tardi: 23:10, stazione Greyhound in attesa del bus per San Francisco. Sono rimasto con sei dollari e pochi spiccioli, anche oggi ho speso ben più del dovuto, complici la colazione di stamattina, "Head" dei Jesus Lizard che era troppo invitante, troppi caffè e una cena messicana in un chiosco assurdo con Jordan... buona però, deliziosi i tacos vegetariani e i fagioli piccantissimi. Un giorno e mezzo qui a Portland niente male, tanta acqua e tanti chilometri nelle gambe ma ne è valsa la pena.
Dopo la cena messicana tappa finale in un'assurda salagiochi retrò, Nintendo a go go, con le cassette in vendita a pochissimo, arcade dappertutto e pure un dj che sparava techno old school a manetta, dentro la sala giochi. Dr. Mario, Super Mario, Pacman e NBA Jam. Che voglia di riesumare il Nintendo, una volta a casa!
Dimenticavo: per le quattro notti successive probabilmente non dormirò come la maggioranza degli esseri umani occidentali, ossia sotto il tetto di una casa. 
21 AGOSTO 2008, GIOVEDI', HER FREAKNESS SAN FRANCISCO


Mi sono appena sistemato all'ostello qui a San Francisco, il Pacific Tradewinds di Sacramento Street, che alla fine era la cosa più saggia da fare. Sono circondato da bella gente, a partire dalla tipa alla reception che ha scoperto subito che ero italiano! Ventotto bucks a notte, internet e cucina gratis, non male. Viaggio allucinante e lunghissimo, arrivo a Frisco alle 18 dopo 17 ore di viaggio. C'è il sole ma non fa troppo caldo. Tecnicamente, oggi si conclude la quarta settimana di viaggio.
22 AGOSTO 2008, VENERDI', SAN FRANCISCO


Andare in ostello ERA la cosa più saggia da fare.
Ma quando ti svegli la mattina e ti dicono che non c'è più posto per la notte successiva e tutti gli altri ostelli che ti puoi permettere sono al completo, allora sei costretto a dormire per strada. O alla stazione degli autobus. Dove peraltro non hanno nemmeno le cassette di sicurezza per lasciare i bagagli.
Morale della favola: non ho un tetto e mi tocca girare per San Francisco, che in quanto a dimensioni non è una cittadina e non è proprio pianeggiante, con tutta la mia casa mobile sulle spalle.
Ieri sera primo giro per Frisco: Chinatown, North Beach, Financial District, Union Square e molto altro ancora: una città fantastica, e a North Beach ho incontrato una marea di italiani come mai fino ad ora, turisti ma anche residenti. E non ho saputo resistere, mi sono gustato il mio primo, vero piatto di pasta dopo quasi un mese di astinenza, dieci dollari di linguine al pesto deliziose: una resurrezione alimentare.
Poi in ostello ho sistemato quante più faccende possibili su internet, ho conosciuto un Alessandro di Piacenza che vive, studia qui e ha vissuto pure a Valencia, e un signore spagnolo che ha la figlia sposata con un valenciano.
Stamattina sveglia alle dieci, incasso il brutto colpo dello sfratto, poi colazione da Starbucks e lavanderia, come quelle dei film piene di lavatrici a gettoni, dove ho incontrato un cinese che è stato in vacanza a Verona e a Trieste e con cui ho scambiato una mezz'ora di buone chiacchiere. Adesso sono vicino a Market Street, direzione ovest con destinazione Haight Street e Golden Gate Park.
Cose da ricordare: la lavanderia, le mance e le tasse, i box dei giornali agli angoli della strada, i semafori e i cartelli stradali, i Greyhound e le stazioni degli autobus, la gente socievole e i pazzi, i barboni che chiedono gli spiccioli, lo street food e i ristoranti di mille tipi, internet che è dappertutto ma senza un computer o simili non lo afferri, i water diversi dai nostri, i gatti.

Più tardi: e quindi mi ritrovo qui alla stazione degli autobus di San Francisco, con un tetto garantito grazie al biglietto per Fresno appena preso... Fresno, dove non andrò mai! Grazie infinite al mitico Discovery pass, con cui mi sono accaparrato il biglietto e la possibilità di dormire qui in stazione. Dopo una decina di chilometri, io e la casa mobile sulle mie spalle, ho le gambe a pezzi ma lo stomaco pieno, grazie alla cena super che mi sono sparato in un ristorante cinese, talmente abbondante che non sono nemmeno riuscito a finirla. Ho visto un sacco di bei posti oggi: Market Sreet, Lower e Upper Haight, l'una meglio dell'altra; Amoeba Records che è il paradiso della musica, hanno di tutto, nuovo e usato, e te lo tirano... Pussy Galore, Y del Pop Group, Mary Lou Lord e Adult i nuovi arrivati in famiglia.
Poi puntata al Golden Gate Park con l'intenzione di arrivare fino all'oceano, ma mi sa che ho puntato troppo in alto: il parco è immenso, addirittura più grande di Central Park, e chissà quanta città da attraversare c'era una volta superato il parco. Megafestival dalle 17 in poi con Radiohead, Beck, Black Keys e tanti altri, ma il problema degli ottantacinque dollari di ingresso era insormontabile. Assolutamente fuori portata, e anche rimanere lì a distanza era rischioso, con la minaccia concreta della pioggia e soprattutto l'incognita del dove trascorrere la notte.
Una particolarità di San Francisco, oltre alle maledette colline che spuntano come funghi, sono le nuvole bassissime che a tratti sembrano quasi nebbia e che corrono come in nessun altro luogo al mondo visto finora. La temperatura poi non è affatto alta: chissà perchè, siamo al livello del mare, in California, e in pieno agosto!
Al ritorno capatina a Castro, che però mi sa ho costeggiato soltanto, che di "caratteristico" nemmeno l'ombra: meglio così, che la giornata è stata già abbastanza pesante! Poi The Mission, altro quartiere spettacolare, case basse e mille volti differenti. Dopo un pò l'ambiente si è fatto più malfamato, meno fauna e meno luce, e ho virato verso nord, direzione centro. Prima della cena e dell'arrivo in stazione, puntata all'Apple Store a controllare la mail e a farsi venire voglie di I-Phone, I-Pod e Mac... Domani, la prima cosa da fare sarà cercare un tetto per Denver e Austin. E dopodomani, prima cosa da fare, doccia da Roxanne che comincio a puzzare come una capra.

Poco più tardi: senza niente da fare, rinchiuso qui in stazione. Scrivo. Classifica: 1 New York, 2 San Francisco nonostante le bestemmie, 3 Seattle, 4 Chicago, 5 Toronto, 6 Portland, 7 Washington, 8 Boston, 9 Detroit, 10 Philadelphia, 11 Olympia. Già undici città visitate!
23 AGOSTO 2008, SABATO, LOW CLOUDS AND BAD SMELL IN SAN FRANCISCO
Otto di mattina, che notte allucinante.
Tre ore di sonno sdraiato un po' su panchine di ferro e un po' sul pavimento gelido della sala d'attesa, con tutte le maglie pesanti addosso per non crepare di freddo. Viaggiatori e falsi viaggiatori, barboni, sveglia alle 5.30 alla riapertura delle porte con l'arrivo della peggior fauna. Fortuna che ho ancora tutti i bagagli con me. Adesso sono qui a Union Square con un sonno terribile, aspettando le nove per vedere se magari si è liberato un posto all'ostello. Oggi in ogni caso, tetto o non tetto sulla testa, borsa o non borsa sulle spalle, di chilometri ne faccio meno.

Più tardi: in cima a California Street, che poi mi gusterò dal basso come nelle famose foto di San Francisco. Altro giro a North Beach e altro piatto di linguine al pesto, meglio approfittarne finchè si può. E poi discesa fino al mare: baia, ancora non è il vero Pacifico. Il Golden Gate Bridge è lontanissimo e quindi aspetto Roxanna, che forse ha la macchina per accompagnarmici. Alcatraz lo avvisto nemmeno troppo da lontano. Nuvole basse, io che per poco non mi piscio addosso per ben due volte, città stupenda ma bagni pubblici nemmeno a parlarne. E due ore di pennichella sul prato in riva al mare, che mi rimettono in sesto.
Ora sono nell'ennesimo Starbucks a scaldarmi l'anima di caffè. Mi sono appena specchiato e faccio paura: capelli sporchi e arruffati, barba lunga, pelle scura per il sole e non solo, e puzzo. Il problema, a questo punto, è se Roxanna mi faccia entrare a casa o meno. Che relitto dell'umanità!
Le prossime tappe sono Lombard Street, California Street from the bottom, il Fisherman's Wharf e il Museo d'arte contemporanea. Poi probabilmente altro salto alla Apple per sistemare altre faccendine e poi stazione Greyhound per una nuova notte hardcore.
Però, nonostante tutte le avversità e le sfighe sono di umore più che positivo! Del tipo "dai, non ti preoccupare, che tanto a tutte le avversità si rimedia": buon segno, forse il primo, vero effetto terapeutico del viaggio!
Sono a San Francisco, gente, e proprio in questo momento penso di aver raggiunto il record personale di massima distanza da casa.

Più tardi: ore ventitrè, nuova penna scroccata all'Apple Store. Il trucchetto di Fresno ha funzionato ancora: di nuovo qui, cellulare in carica, tra poco proverò a radermi senza uno specchio di fronte, quattro ragazzi italiani aspettano l'autobus per L.A. giocando a Uno, ancora non hanno capito che sono italiano e non ho affatto voglia di farmi sgamare. Oggi pomeriggio poi, giro alla curiosa Lombard Street, poi Financial District, sosta in un parco a leggermi il "Breakfast of Champions" di Vonnegut regalatomi da Celessa, prima che iniziasse a piovere.
Paranoie comunicative che censuro. Quando torno divento più socievole, che è ora scossa. Già, quando torno. Giro di boa, tra un mese sono a casa, e le sensazioni si aggrovigliano.