Un viaggio allucinante stanotte: quattro ore di autobus fino a New York, in cui dormo al massimo mezz'ora. Arrivo in piena notte nel Lower East Side, mi incammino a piedi in direzione Lower Manhattan, dove penso si trovi la stazione Greyhound - e non sono proprio due passi - solo per scoprire, ma solo alla fine, che East Broadway in realtà era a due passi, in piena Chinatown. Dietrofront.
Che paura: notte fonda, folli e ubriachi e molto altro ancora per strada, ed io assonnato e con tutti i bagagli. Un'attesa allucinante e lunghissima sotto un cavalcavia di Chinatown, per poi salire su autobus vietnamese assurdo, con la tipa alla "biglietteria" dall'attitudine da kapò nazista: "Hey, where do you go?!", ripeteva la tipa col suo inglese incomprensibile a chiunque le passasse a meno di dieci metri di distanza, per convincerlo a prendere il bus per Philly o Washington DC. Scene surreali, ma per dieci verdoni si può fare questo e altro.
Poi si parte, un'altra ora di riposo, e arrivo a Philadelphia. La prima impressione non è delle migliori, la piena la città di matti, barboni e sciancati, una bella dose di tristezza. Arrivo al quartiere di Dana, la couchsurfer, che si trova in piena periferia, ed è ancora peggio: avete presente i quartieri poveri nei film di Rocky?! Esatto. E infine, ciliegina sulla torta, sembra ripetersi il film di Boston: cellulare scarico, il telefono pubblico che si mangia i miei soldi, la casa di Dana senza campanello, nervi che saltano e bestemmie. Ma alla fine la faccenda si risolve, incontro Dana che mi accompagna all'ufficio dove lavora, dopo aver scaricato alla stazione dei treni altri due couchsurfers ungheresi in partenza. Su internet compro una scheda telefonica low-cost per l'Italia e chiamo casa per farmi ricaricare il cellulare: emergenza risolta, ma quanta fatica.
E poi Dana mi scarica con una guida Not For Tourists, ma i problemi a questo punto sono altri: puzzo, sono sudato e sporco, ma soprattutto ho un'irritazione tremenda all'inguine, dannazione a me e alla mia smania di andare a piedi dappertutto. A ogni passo fitte terribili, non riesco a camminare se non con un passo da cowboy. Comunque, come ogni buon supereroe che si rispetti, giro il centro di Philadelphia in lungo in largo e l'impressione generale migliora: apprezzo soprattutto il viale che porta al museo, proprio quello con la scalinata che Sylvester Stallone sale di corsa su "Rocky", pieno di turisti che da idioti lo imitano. Che nella lista degli idioti vorrei esserci anch'io, ma il dolore me lo impedisce. Di fianco al museo c'è addirittura la statua di Rocky, proprio quella del film: questi americani... naturalmente, la foto è d'obbligo!
Terza città, terza Chinatown, identica alle prime due. L'impressione generale è quella di una città abbandonata a se stessa, senza l'hype evergreen di New York o il classicismo e la carica giovanile e universitaria di Boston: insomma, la vecchia capitale sembra nascondersi nell'ombra.
Domani, qualunque sia la situazione tra le gambe, tappa a South Street e alla periferia sud, che la Sacra Bibbia Lonely Planet indica come la zona più effervescente della città. E poi l'autobus per DC previsto per le 17, continuiamo il risparmio con le compagnie asiatiche. Mentre scrivo sono seduto all'angolo tra l'11th e Arch Street, aspettando Dana per andare a cena. Dio, placami l'irritazione inguinale!
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