Otto di mattina, che notte allucinante.
Tre ore di sonno sdraiato un po' su panchine di ferro e un po' sul pavimento gelido della sala d'attesa, con tutte le maglie pesanti addosso per non crepare di freddo. Viaggiatori e falsi viaggiatori, barboni, sveglia alle 5.30 alla riapertura delle porte con l'arrivo della peggior fauna. Fortuna che ho ancora tutti i bagagli con me. Adesso sono qui a Union Square con un sonno terribile, aspettando le nove per vedere se magari si è liberato un posto all'ostello. Oggi in ogni caso, tetto o non tetto sulla testa, borsa o non borsa sulle spalle, di chilometri ne faccio meno.
Più tardi: in cima a California Street, che poi mi gusterò dal basso come nelle famose foto di San Francisco. Altro giro a North Beach e altro piatto di linguine al pesto, meglio approfittarne finchè si può. E poi discesa fino al mare: baia, ancora non è il vero Pacifico. Il Golden Gate Bridge è lontanissimo e quindi aspetto Roxanna, che forse ha la macchina per accompagnarmici. Alcatraz lo avvisto nemmeno troppo da lontano. Nuvole basse, io che per poco non mi piscio addosso per ben due volte, città stupenda ma bagni pubblici nemmeno a parlarne. E due ore di pennichella sul prato in riva al mare, che mi rimettono in sesto.
Ora sono nell'ennesimo Starbucks a scaldarmi l'anima di caffè. Mi sono appena specchiato e faccio paura: capelli sporchi e arruffati, barba lunga, pelle scura per il sole e non solo, e puzzo. Il problema, a questo punto, è se Roxanna mi faccia entrare a casa o meno. Che relitto dell'umanità!
Le prossime tappe sono Lombard Street, California Street from the bottom, il Fisherman's Wharf e il Museo d'arte contemporanea. Poi probabilmente altro salto alla Apple per sistemare altre faccendine e poi stazione Greyhound per una nuova notte hardcore.
Però, nonostante tutte le avversità e le sfighe sono di umore più che positivo! Del tipo "dai, non ti preoccupare, che tanto a tutte le avversità si rimedia": buon segno, forse il primo, vero effetto terapeutico del viaggio!
Sono a San Francisco, gente, e proprio in questo momento penso di aver raggiunto il record personale di massima distanza da casa.
Più tardi: ore ventitrè, nuova penna scroccata all'Apple Store. Il trucchetto di Fresno ha funzionato ancora: di nuovo qui, cellulare in carica, tra poco proverò a radermi senza uno specchio di fronte, quattro ragazzi italiani aspettano l'autobus per L.A. giocando a Uno, ancora non hanno capito che sono italiano e non ho affatto voglia di farmi sgamare. Oggi pomeriggio poi, giro alla curiosa Lombard Street, poi Financial District, sosta in un parco a leggermi il "Breakfast of Champions" di Vonnegut regalatomi da Celessa, prima che iniziasse a piovere.
Paranoie comunicative che censuro. Quando torno divento più socievole, che è ora scossa. Già, quando torno. Giro di boa, tra un mese sono a casa, e le sensazioni si aggrovigliano.
Tre ore di sonno sdraiato un po' su panchine di ferro e un po' sul pavimento gelido della sala d'attesa, con tutte le maglie pesanti addosso per non crepare di freddo. Viaggiatori e falsi viaggiatori, barboni, sveglia alle 5.30 alla riapertura delle porte con l'arrivo della peggior fauna. Fortuna che ho ancora tutti i bagagli con me. Adesso sono qui a Union Square con un sonno terribile, aspettando le nove per vedere se magari si è liberato un posto all'ostello. Oggi in ogni caso, tetto o non tetto sulla testa, borsa o non borsa sulle spalle, di chilometri ne faccio meno.
Più tardi: in cima a California Street, che poi mi gusterò dal basso come nelle famose foto di San Francisco. Altro giro a North Beach e altro piatto di linguine al pesto, meglio approfittarne finchè si può. E poi discesa fino al mare: baia, ancora non è il vero Pacifico. Il Golden Gate Bridge è lontanissimo e quindi aspetto Roxanna, che forse ha la macchina per accompagnarmici. Alcatraz lo avvisto nemmeno troppo da lontano. Nuvole basse, io che per poco non mi piscio addosso per ben due volte, città stupenda ma bagni pubblici nemmeno a parlarne. E due ore di pennichella sul prato in riva al mare, che mi rimettono in sesto.
Ora sono nell'ennesimo Starbucks a scaldarmi l'anima di caffè. Mi sono appena specchiato e faccio paura: capelli sporchi e arruffati, barba lunga, pelle scura per il sole e non solo, e puzzo. Il problema, a questo punto, è se Roxanna mi faccia entrare a casa o meno. Che relitto dell'umanità!
Le prossime tappe sono Lombard Street, California Street from the bottom, il Fisherman's Wharf e il Museo d'arte contemporanea. Poi probabilmente altro salto alla Apple per sistemare altre faccendine e poi stazione Greyhound per una nuova notte hardcore.
Però, nonostante tutte le avversità e le sfighe sono di umore più che positivo! Del tipo "dai, non ti preoccupare, che tanto a tutte le avversità si rimedia": buon segno, forse il primo, vero effetto terapeutico del viaggio!
Sono a San Francisco, gente, e proprio in questo momento penso di aver raggiunto il record personale di massima distanza da casa.
Più tardi: ore ventitrè, nuova penna scroccata all'Apple Store. Il trucchetto di Fresno ha funzionato ancora: di nuovo qui, cellulare in carica, tra poco proverò a radermi senza uno specchio di fronte, quattro ragazzi italiani aspettano l'autobus per L.A. giocando a Uno, ancora non hanno capito che sono italiano e non ho affatto voglia di farmi sgamare. Oggi pomeriggio poi, giro alla curiosa Lombard Street, poi Financial District, sosta in un parco a leggermi il "Breakfast of Champions" di Vonnegut regalatomi da Celessa, prima che iniziasse a piovere.
Paranoie comunicative che censuro. Quando torno divento più socievole, che è ora scossa. Già, quando torno. Giro di boa, tra un mese sono a casa, e le sensazioni si aggrovigliano.
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